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Il passato può essere grandioso senza raccontarlo? Risponde Andrea Politi, I Liceo

Il passato può essere grandioso senza che lo si racconti? O, forse, diventa grandioso proprio quando lo raccontiamo? Se non fosse esistita l’Iliade, non sarebbe esistito nemmeno Achille. Per lo meno, non quell’Achille. È forte la tentazione di tramutarsi in parassiti della propria valigia di bei ricordi: solo nelle carte ingiallite che essa contiene potremo illuderci di rivivere quel senso di “avventura” di cui apprendiamo leggendo Sartre: «La mia vita presente non ha niente di molto brillante; ma ogni tanto, per esempio quando sentivo la musica nei caffè, riandavo indietro col pensiero e mi dicevo: in passato, a Londra, a Meknès, a Tokyo, ho avuto momenti meravigliosi, ho avuto avventure. È questo che adesso mi vien tolto». Ma, se non potessimo raccontarle, quelle avventure, sarebbero ancora tali? Risponde Andrea Politi, studente del primo anno del Liceo Linguistico “Beata Vergine” di Cremona, in un tema svolto in classe. Lo riportiamo di seguito.

Il protagonista del romanzo La Nausea – Antonio Roquentin – afferma di condurre una vita piuttosto anonima; solo il ricordo delle avventure nei paesi lontani gli permette di rievocare le emozioni più belle.

Riscontro una somiglianza tra la mia vita e quella di Roquentin: durante l’anno scolastico, sopraffatto dallo studio e dagli impegni sportivi, a stento riesco a godermi gli aspetti migliori – la famiglia, gli amici. Anche il gelido e quasi deprimente clima invernale gioca a sfavore. È durante la stagione estiva che ho l’opportunità di trascorrere i momenti più belli, nella tranquilla serenità della montagna o all’ardore dell’alba, che si riflette sulle onde marine. La Pianura Padana mi appare come un ambiente nauseabondo, se paragonato alle altre bellezze del Paese; è solo ricordando con gioia le vacanze in famiglia che si riesce ad apprezzare anche la più piccola sottigliezza di un periodo buio.

Roquentin rivela che «ciò che si racconta nei libri può accadere davvero, ma non nello stesso modo. Ed è a questo modo che io tenevo tanto». Con queste parole, egli intende affermare che è la singolarità di ogni avventura a renderla memorabile in ogni suo dettaglio. Memorabile è la parola-chiave. Il passato, per essere ricordato, deve essere tramandato di padre in figlio, affinché assuma un valore etico-sociale, che lo renda ancora più grandioso. Come è stato per i poemi omerici, le avventure possono assumere tale importanza da rappresentare persino gli ideali di un’intera civiltà. Il raccontare diventa in questo caso essenziale e forse sacro.

È possibile analizzare questa teoria anche in un secondo modo, abbandonando la realtà antropologica e portandosi in quella spirituale. Un avvenimento, se vissuto in prima persona, può rappresentare una piccola parte della propria personalità; può rappresentare qualcosa di intimo, che detiene quindi un valore inestimabile. Se questo avvenimento venisse raccontato, svanirebbero in parte la sua importanza e grandiosità ed esso diventerebbe un qualsiasi articolo di giornale, di cui tutti entrano a conoscenza. Spesso, quando si racconta un’avventura, vengono modificate alcune parti per comodità – simpatia per uno dei personaggi, ad esempio. La narrazione viene privata in questo modo della sua originalità e si riduce ad una falsa realtà, grandiosa per gli ascoltatori ma in fondo priva di rilevanza per chi ne è già a conoscenza.

Andrea Politi, I Liceo Linguistico

Istituto Beata Vergine (Cremona)

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